Un Anno Fa…Jonathan Vaughters su Lance Armstrong: “Tutti prendevano EPO, ma forse su di lui ebbe effetto migliore. Non ti obbligava a doparti”

Jonathan Vaughters rifiuta l’idea che Lance Armstrong avrebbe vinto comunque, anche senza doping. Ex compagno di squadra del texano, seppur non tra i suoi fedelissimi, l’attuale team manager della EF Pro Cycling ha da tempo ammesso di aver fatto uso di pratiche dopanti, trasformandosi negli anni successivi in uno dei più intransigenti sul tema. Classe 1973, con il texano sostanzialmente corse quando erano ragazzi, poi solo nel 1998-1999, correndo appena due tappe di quel Tour de France prima di doversi ritirare per una caduta. Abbastanza comunque per vedere come erano le cose in squadra e quale fosse la differenza rispetto ad altre realtà, economicamente meno potenti rispetto alla US Postal costruita intorno al rientrante Armstrong, di cui in questo periodo si è tornati a parlare prepotentemente in seguito all’uscita del documentario di ESPN a lui dedicato.

“Dopo aver cambiato squadra ero in una squadra francese (dal 2000 al 2002 corse con la Crédit Agricole, ndr) e non avevamo logistica per il doping – racconta in una lunga intervista a Marca – Se volevi farlo dovevi farlo da solo, non c’erano medici per questo. Lance aveva tutto, se avesse voluto poteva noleggiare un aereo privato per fare qualche acrobazia volante mentre faceva una trasfusione di sangue. Aveva i soldi e la logistica per doparsi. Ci sono persone che pensano che avesse avuto il doping dalla NASA o roba del genere, ma non è così. Quel che ebbe furono aiuti e pochi rischi. Sapeva che non lo avrebbero preso, poteva farlo con tranquillità ed in maniera metodica. Questo era per lui un grande vantaggio, non era preoccupato che l’UCI potesse prenderlo. Se controlli la polizia è più facile commettere un delitto”.

Non c’era tuttavia l’obbligo di doparsi in squadra, secondo quanto racconta Vaughters, che personalmente iniziò nel 1996, dopo due anni sempre fra le ultime posizioni del gruppo. “Non è vero che Lance obbligava gli altri a doparsi – aggiunge – Lui diceva che gli otto migliori sarebbero andati al Tour, senza fare pressioni su nessuno affinché si dopasse, ma il calcolo era semplice: dovevi essere tra i migliori corridori per esserci e per farlo dovevi doparti. Ma era una decisione del singolo, come nel mio caso, per esempio. Non mi ha mai detto di doparmi. Ovviamente, quando sai che il tuo leader si sta dopando e vuole una suqadra forte, hai più possibilità di prendere quella strada”.

Pochi dunque i casi in cui, secondo lui, un corridore pulito della squadra sia andato alla Grande Boucle. Tra le eccezioni cita un giovane Christian Vandevelde, che nel 1999 arrivò e conquistò un posto senza fare uso di doping. “Qualcosa di eccezionale, pochi ci riuscirono, ma lui sì – ricorda – Poi anche lui si dopò due anni dopo, ma solo per due anni”.

Tra gli aspetti su cui Vaughters insiste, c’è anche l’assunto per cui un corridore che ha vinto con doping in quell’epoca avrebbe vinto comunque anche senza doping visto che lo facevano tutti. Sottolineando comunque la presenza di corridori puliti, anche se molto pochi, l’attuale team manager ricorda che ogni persona reagisce in maniera diversa ai farmaci, per cui i valori in campo possono essere falsati. “Se io e te beviamo dieci birre, la mattina dopo ci svegliamo con il mal di testa – risponde al suo intervistatore – Io prendo due aspirine e mi sento bene, quindi posso lavorare normalmente perché la medicina ha reagito bene per me. Se invece tu prendi due aspirine magari non ti fanno effetto e stai male, passando la giornata a letto. Le medicine non hanno lo stesso effetto per tutti“.

Per il doping è la stessa cosa, seguendo l’esempio di Vaughters: “Tutti prendevano l’EPO, ma su alcuni faceva più effetto che su altri. È un periodo del ciclismo in cui non possiamo sapere chi sia stato il migliore. Saperlo è impossibile. Lance era forte, con o senza doping, così come Ulrich o Pantani. Ma dire che Lance avrebbe vinto sette Tour senza doparsi non possiamo saperlo. Forse l’EPO ebbe più effetto su di lui che su altri. Forse David Moncoutié, che arrivò 18°, era il più forte. Ma non lo sapremo mai perché non c’è modo di fare i conti per sapere la verità”.

Non un caso il nome del corridore francese, che peraltro non partecipò a quel Tour ne si classificò mai 18°, considerato in gruppo stesso uno dei pochi corridori puliti durante quegli anni. Il transalpino, nei giorni scorsi, ha reagito a sua volta all’uscita del documentario sull’ex vincitore di sette Tour de France, ricordando come fosse impossibile vincere un grande giro senza fare uso di sostanze dopanti.

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